INSIEME. Abitare la Terra con gli altri animali – 4
LA FORZA DELLA POESIA. Tutti gli animali di Rita Imperatori
Abbiamo parlato inizialmente non solo della presenza, ma anche dell’intensità dei sentimenti degli altri animali, e del lavoro della loro coscienza. Questo non solo deve servirci a mettere in atto comportamenti e a promuovere leggi (siano esse dello Stato o fatte nostre per etica personale), ma ci consente anche di valorizzare il rapporto con loro, di apprezzare lo scambio nella relazione.
Una relazione purtroppo molto spesso segnata da sopruso, ma oggi – dopo aver doverosamente indagato le malefatte e le possibili azioni a loro contrasto – ci piace dar voce a chi con grande trasporto, e anche con umiltà, dedica ogni giorno attenzione a quel mondo di innocenti e saggi, compagni di vita nelle case o nei giardini, animali conosciuti o solo visti da lontano, animali aiutati nella difficoltà, e amati, amati sempre.
Scegliamo di farlo dando voce alla poesia a loro dedicata. A chi, dopo aver portato il pane, sa dipingere con i suoi versi il beccuccio aperto; al poeta che fa e poi sente l’urgenza di riversare in parole quella tempesta emotiva.
È anche questo un modo dello stare insieme: con gli altri animali nel rapporto personale, con gli altri umani nella condivisione.
Rita Imperatori – non nuova a chi segue queste pagine (tra l’altro è stata nella giuria del concorso letterario Asiniùs) – è una poeta (sì, “poetessa” non le piace) contemporanea di grande spessore che ha ottenuto riconoscimenti in molti concorsi letterari, spesso aggiudicandosi il premio più alto. È nata e vive in Umbria, a Perugia, ha pubblicato cinque raccolte di poesie e suoi testi sono stati inseriti in diverse antologie. È laureata in Lettere moderne e in Giurisprudenza.
Il suo amore per gli animali è totale e puro, così che la dedizione si accompagna ad un pensiero costante sul nostro rapporto con loro, un pensiero profondo che non tralascia di portare a galla il dubbio, al quale sa di non poter rispondere, lasciandoci sempre inermi di fronte alla grandezza misteriosa dello sguardo degli altri animali posato nel nostro. Ma la sua poesia dice sempre qualcosa all’animale uomo, agli altri lasciando l’inconsapevole azione del buon esempio.
Proponiamo dunque oggi alcune sue poesie ancora inedite, ringraziandola per il prezioso regalo.
La prima è naturalmente per lui, l’asino.
Pablo ha un corpo grande
Pablo ha un corpo grande e il muso bianco;
non lo gravano fardelli,
non lo incalzano la frusta e grida umane
e i suoi occhi si colmano di verde.
Spende la sua forza
per raccogliere la biada che gli sfugge
e ha dolcezza ovunque, persino sulla coda
che agita soltanto per liberarsi dalle mosche.
Lui non sa il dolore millenario dei fratelli
e il disprezzo nonostante le virtù,
né io dirò il calvario imposto a questa specie
ché l’archivio dei mali inflitti ai miti
troppa pena distende in chi ha capito
essere gli ultimi solo i più innocenti.
Ciò che conosce Pablo è l’allegria di un cane
che non bada alla sua mole
e non teme di dividere gli spazi
con chi non gli somiglia.
Possano Pablo e quelli come lui
avere per un giorno, un giorno solo,
voce e parole per dirci come amare,
e muovere noi tutti a compassione
per chiunque non abbia biada e stalla
e le cerchi sfidando le frustate della sorte.
Di terra ed aria
L’ho conteso alla morte che lo pensava suo
perché espulso dal grembo di un rifugio;
l’ho visto aggrapparsi ad ogni filo
che gli dicesse: “ti accoglierò, ti sarò madre, ti darò vita”;
ho sentito il gelo spegnere il suo canto
e il calore rendergli la voce.
È Natura il passero che muore in pasto al gatto
ma non la vita che si arrende
all’urgenza di pulire il bagno.
Così l’ho preso e tenuto tra le mani;
gli ho parlato sugli occhi ancora chiusi
e sulle piume tutte da venire.
Gli ho parlato ma non avrei dovuto
perché lo lego a me che sono terra
e confondo le ragioni del suo alzarsi.
Lo renderò all’aria che ne attende il volo:
come i figli umani, deve volgere le spalle
a chi lo ama per essere appieno ciò che è.
Alla mia età l’amore che si dà
ha in sé l’appagamento che consente
di lenire ogni piccolo dolore,
fosse anche quello che dissolve
la dolcezza dell’aria raccolta in una mano.
Ho pregato per tenerti
A Betta
Se avessi ancora le lacrime già piante
anche quelle piangerei per te
che mi sei stata figlia e, sul finire,
madre paziente che non chiedeva niente.
Intorno a me, per te,
s’è stretta dolente una famiglia
che non risulta nelle carte comunali:
sono quelli che sanno
essere una solamente
la sede dell’amore e del dolore
e che l’addio a creature come te
è feroce proprio come gli altri.
Perdonami gli errori,
guarisci la mia pena,
proteggi la mia casa
che diventando anche la tua
s’è colmata d’ogni sorta d’allegria.
Confesso che ho pregato per tenerti
dimenticando gli umani e i loro mali
e se non provo il rimorso che dovrei
è perché mi eri necessaria
per distinguere, nel fare quotidiano,
ciò che davvero conta
dalle effimere, mutevoli premure.
Il varco
Vedo un uccello fermo sulla grondaia[…]
Se lo vedi anche tu […]
Questo è tutto quanto
ci è dato di sapere sulla felicità (*)
E. Montale
Io appartengo all’aria e alle sue insidie,
l’amore della terra è una prigione.
Un’insolita madre
che aveva dolcezza da dare
m’ha preso e poggiato sul cuore.
Abbiamo aspettato che il patto non scritto
mettesse le piume e imparasse a volare.
Ho atteso che in lei la pena si facesse più lieve
e infine ho trovato il mio varco.
Per quelli che non hanno le ali
un varco è questione di libri e parole:
per me, che alla terra guardo dall’alto,
il senso s’è dato di colpo
appena la madre ha dischiuso la facile gabbia.
(*) Montale, Vedo un uccello fermo sulla grondaia, Satura II, in E. Montale, Tutte le poesie, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, VIII ed. I Meridiani
In principio era il lupo
In principio era il lupo,
cane per fame dopo tante lune.
Da quell’antico patto
discende il nostro sodalizio,
creatura che capisci parole che non hai
e mi conduci dentro il tempo tuo
sottratto a ogni misura di durata.
Senza progetti da portare a compimento,
ogni attimo è perfetto:
contiene il prima e il dopo,
il senso e le ragioni.
Di te mi fido
come di una madre
e ti amo così tanto
che sei carne nella carne.
Altra cosa l’amore per gli umani
a cui serve l’esercizio del pensiero.
Tienimi con te come la palla rossa
e sentirò di nuovo quella dolcezza persa.
La linea decisa del tuo volo
La linea decisa del tuo volo
definisce la durata del mio pianto.
Breve, ché non s’addice piangere un addio solo
a chi ne ha tanti archiviati in ogni poro.
Non distinguo la tua dalle altre voci,
pure cerco, ostinata, un indizio per trovarla
e farne un filo che ci leghi ancora.
Non per sempre: sanno le madri – sapevano le mie –
che i figli sono nati per partire;
volevo avere un po’ di tempo in più,
fino a pensare inutile premura
portare i semi all’altezza del tuo becco.
Ti accolga il mondo che ti ha dato a me
perché capissi che so amare anch’io
e che l’inverno che mi sento dentro
è passeggero come il tuo avermi accanto.
Ogni fruscìo nel prato
L’amore che so dare
tu lo chiami in altro modo
e provi una specie di dolore
se alle tue parole
antepongo ogni fruscìo nel prato
o, gioiosa, saluto qualcun altro.
Invece, per quelli come me,
amare è semplice come respirare:
un atto della vita, un moto di natura,
il mostrare quello che si è.
Non soffrire
pensando che il tempo a te mi ruba,
non farti misura del mio andare:
ogni passo con te è la mia mèta,
e il percorso non subisce alcuna conta.
Tu annoti i miei anni come i tuoi
e ti manca il fiato se mi vedi vacillare:
ricorda, per non provare pena,
che io sto al mondo come fossi eterna
e il mio corpo non subisse offesa.
È questa la forma del mio amare:
non ingombrarti il cuore
con la paura di finire in niente.
Solo il cane sapeva
Ad Antonio e ai suoi compagni dell’ARMIR
Tornò, alla fine, in braccio a quelli
che non vollero lasciarlo alla neve della steppa.
Tornò, e andò a cercare la madre e le sorelle.
«Chi cercate? Chi siete?»
e il colpo, allora sì, raggiunse il cuore.
Furioso abbaiava il cane
ché gli animali non badano alla polvere e agli stracci,
non vedono il passo incerto per il gelo della carne,
non sentono l’odore della rabbia che verrà.
Gridava, il cane,
nella lingua di chi ha memoria eterna dell’amore:
«È lui, è tornato! Aprigli le braccia, madre!»
Lo accolse la casa finalmente,
Ulisse disperato senza gloria,
marito, figlio, padre di un cane contadino
che l’aspettava e, a suo modo,
pregava che tornasse.
Possa quel cane vegliare il sonno
di chi si è perso allora
e di quelli che ancora, in ogni dove,
si perdono ogni giorno.