LA CITTÀ DEGLI ASINI. Intervista a Lorena Lelli

 

Iniziamo, con questa intervista, a conoscere alcune delle persone e delle strutture che si dedicano alle attività assistite con gli asini, presenti in tutta Italia. La Città degli Asini, anche editore di questa testata, è diretta da Lorena Lelli e ha sede in provincia di Padova,  a Polverara, cittadina peraltro nota anche per aver dato i natali alla famosa e bellissima gallina dell’omonima razza.

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Lorena, com’è nata l’idea di vivere e lavorare con gli asini?

L’idea della Città degli Asini nasce con l’arrivo di Mosè.  Un cucciolo: aveva 7 mesi nel gennaio 2007 e io avevo appena scoperto di essere incinta di Elisa, che è nata nel settembre di quell’anno. Ho vissuto quindi l’arrivo di Mosè in piena maternità, e lui mi ha aiutato – come non era stato per la nascita di Francesco nel 2003 – a tirare fuori tutta quella parte istintiva che ogni madre dovrebbe saper ascoltare.

È stato mio padre a portarmi l’asino. Lui  ha sempre amato questi animali ma non ha mai potuto averne uno. Così quel giorno mi ha detto “Lorena tienilo, ti aiuto io”.  Anche mio marito mi dice ok, lui è un temerario quindi qualsiasi novità la accetta di buon grado, soprattutto se si tratta di esseri viventi. Umano o animale non importa. Così Mosè arriva. Gli costruiamo la prima stalla con il suo recinto vicino a casa e io comincio a vivere la sua presenza molto incuriosita, anche perché era il primo asino che vedevo dal vero e io poi ho sempre avuto paura  degli equini.  Oltretutto avevo anche tutte le apprensioni che ha una donna incinta. La stalla di Mosè è vicinissima alla casa e Paolo, mio marito, ha da poco aperto qui il suo ambulatorio medico, trasferendolo dal centro di Padova.  Paolo segue malati con gravi patologie degenerative e io sto in segreteria. Il mio compito è intrattenere i pazienti in attesa, perché Paolo non guarda agli orari… considera, sì, un’ora di tempo per la prima visita però se serve un’ora e mezza rimane col paziente un’ora e mezza. Per cui sta a noi fuori in segreteria cercare di far passare il tempo alle persone in attesa. Allora inizio prima con i bambini poi con gli anziani perché con gli altri un po’ mi vergognavo a mostrare un asino… in un ambiente sanitario, poi!

Noto anche, in quel periodo, che Francesco, che ha circa due anni, si calma stando con l’asino se lo porto da lui quando gli succede qualcosa o è triste. E così inizio a portare anche i pazienti. Ci confrontiamo, poi, con Paolo e capiamo che effettivamente l’asino porta una sorta di calma, di pace, di accoglienza e familiarità per cui la persona che era stata con me da Mosè e poi entrava da lui affrontava la visita in maniera completamente diversa. Per Paolo è stato molto utile perché l’anamnesi per un medico è la parte fondamentale per poi procedere a una diagnosi e scegliere quindi la giusta terapia. Il suo principale modo di lavorare, quello su cui ha posto sempre l’accento è l’accoglienza, far sentire il paziente a suo agio. Non usa il camice, accoglie i pazienti abbracciandoli. Discutiamo più volte sulla questione dell’asino e cominciamo a vedere che l’effetto vale per una, poi dieci, venti, trenta persone: comincia a diventare statistica! Inizio ad informarmi e cominciamo così il nostro percorso di ricerca personale.

Quando tu hai un asino in giardino – un’esperienza che hanno fatto molti di coloro che ci leggeranno –  l’asino non solo attira altri asini ma anche tante altre persone. Ti vengono a trovare, si comincia a parlare del mondo degli animali, ad avere un argomento in comune che è anche abbastanza neutro, non ci costringe a prendere delle posizioni, sei in una zona franca.

Scusa se ti interrompo ma è per raccontarti che un amico mi ha detto esattamente la stessa cosa. E’ una persona che non ha mai avuto a che fare con gli asini ma che mi ascolta interessato quando gli parlo di loro. Un giorno mi ha detto: “L’argomento è un ottimo “attention getter”, lo userò al posto delle chiacchiere sul tempo in ascensore!

È proprio così! E così succede che arrivano amici, parenti, conoscenti, e noi cominciamo a formarci, ad avere altri asini, si allargano i recinti e iniziano anche ad aumentare le difficoltà. Ti serve un veterinario esperto in asini e ti accorgi che non esiste, devi preoccuparti  delle stalle e della loro pavimentazione migliore, se lasciare un fondo in cemento o la terra, devi mettere i microchip e tutto il resto. Cominci a confrontarti con le difficoltà anche perché l’asino è un animale poco conosciuto.

In tutto ciò si inserisce la mia esperienza personale, che è stata molto particolare e iniziata anch’essa con l’arrivo di Mosè. Io per un anno non sono entrata nel recinto da sola. Nonostante si trattasse di un asino di sette mesi, di taglia piccola e molto docile. Allora ho iniziato a farmi delle domande: mi considero una persona normale ma stanno emergendo in me grandi difficoltà… allora comincio a metterla in dubbio, questa mia presunta normalità. Mi rendo però anche conto che non si tratta davvero di paura dell’asino. Mosè stava riuscendo a levare quel tappo emotivo che io, come tutti noi, mi ero costruita a difesa. Mi ha smascherata. Vedendo lui vedevo me stessa.  Mi sono trovata davanti allo specchio. Solo che allo specchio posso mentire, a me stessa posso mentire, all’analista posso mentire, a lui no. Non ho più potuto mentire. E ho cominciato a lavorare su di me e sulle mie paure,  mi sono affidata a persone sulle quali ho riposto molto fiducia e alle quali ho messo in mano tutta me stessa e che mi hanno fatto vincere la paura. Questo è stato il mio percorso e la grande spinta motivazionale servita poi a cercare di aiutare altre persone a levare lo stesso blocco emotivo. A quel punto comincio a mettere in moto anche la mia mente ragioniera, organizzativa, e scopro che anche a Padova  esiste, all’interno dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie, un  dipartimento che si occupa di pet  therapy. Contatto Camilla Siliprandi, la referente, e da lì inizia il percorso con l’Istituto zooprofilattico che nel 2009 diventa Centro di referenza nazionale per gli interventi assistiti con gli animali. Vengo poi chiamata a far parte della commissione nazionale che si è occupata, nel 2011, della stesura delle linee guida presentate poi a Fieracavalli. Nel frattempo la Città degli Asini evolve, cresce, comincia ad accogliere utenti, principalmente bambini con disturbi comportamentali, bambini difficili che magari non mostrano fisicamente la loro difficoltà. Non sono bambini “giustificati”, sono bambini “cattivi”, maleducati, socialmente disturbati.

Mi rendo conto presto che stavo realizzando un sogno. Quello che, credo, tutti noi quando siamo stati adolescenti abbiamo avuto perché pensi di poter cambiare il mondo: il mio sogno era quello di accogliere animali abbandonati e ora lo stavo facendo perché nel frattempo erano arrivate oche, galline, e poiché abbiamo un parco di 15mila metri anche animali di privati che non potevano più tenere. Anche i nostri asini erano salvati dal macello o dal maltrattamento.

Ma soprattutto stavo realizzando un altro sogno, che era quello di accogliere bambini non voluti. Questi bambini difficili sono quelli che nessuno vuole, che vengono abbandonati dalla società, che non sono riconosciuti.

Perché secondo te sei arrivata a questo? Perché sono arrivati questi bimbi da te?

Arrivano in quanto io per prima ho subìto dalla prima elementare e fino alle superiori bullismo. L’ho subìto sia a livello psicologico che a livello fisico. Sono stata menata, e io ricordo, da vittima, che non ho mai raccontato nulla ai miei genitori non perché giustificavo il fatto, ma perché lo stesso disagio che vivevo io lo vedevo nei ragazzi che maltrattavano me. La mia identica difficoltà la sentivo in loro e li giustificavo in questo modo, perché mi sentivo alla pari.  Il disagio era identico solo che io lo esprimevo in maniera remissiva e loro in un altro modo.

La Città degli Asini allora ospita e accoglie bimbi che hanno patologie comportamentali e vivono disagi sociali gravi. Questi sono gli utenti principali. Nel tempo si è costituita una equipe formata oggi da psicologi, psicoterapeuti, coadiutori dell’asino. E il medico, che lavora e supporta i ragazzi e le loro famiglie. Noi lavoriamo in tutti gli ambiti degli interventi assistiti: terapeutici, educativi e ludico ricreativi. E di benessere, per migliorare la qualità di vita delle persone. E’ nata poi l’esigenza di trasferire le nostre esperienze e facciamo oggi anche corsi di formazione, che sono in continua evoluzione anche in vista dell’uscita delle nuove linee guida che richiedono percorsi formativi specialistici.

E perché hai subito accettato di diventare l’editore di Asiniùs?

Perché risponde alla necessità di mettere in rete le persone che hanno gli asini e li vogliono coinvolgere in attività. Metterli in rete ma soprattutto rispondere a domande su difficoltà che anche noi abbiano incontrato man mano che la Città degli Asini cresceva. Abbiamo dunque chiamato a raccolta i maggiori esperti che negli anni abbiamo conosciuto in Italia e che ci hanno aiutato.  Asiniùs serve a rispondere a curiosità o a domande ben specifiche, e a convogliare tutte le conoscenze e le informazioni su questo meraviglioso animale e il mondo che a lui gira intorno.