BLA BLA BLA

geco

Questa mattina, libero da appuntamenti di lavoro, sono stato svegliato dal sonoro raglio di Carletto. In presenza di particolari condizioni, l’aria rarefatta, la brezza leggera che spira verso casa, sembra davvero di avere un asino ragliante ai piedi del letto.

Quando gli asini ragliano c’è sempre un motivo. In questo caso sono probabilmente in ritardo di qualche minuto nella somministrazione del fieno. E se hanno ragliato una volta, non è escluso che si ripetano dopo una ventina di minuti. Così metto i pantaloni da giardino, mi verso una tazza di “latte” di riso e, prima che si svegli tutto il vicinato, scendo le scale con le infradito ai piedi. Con la sinistra apro la porta che dà all’esterno, piano, perché tra la porta e il battente vive un geco che ho visto crescere, e che a volte si attarda sino al mattino in cerca di insetti. “…’Giorno geco…”, lo saluto mentre si arrampica sul muro.

Percorro lento il vialetto che porta verso il ranch, sorseggiando dalla mia tazza, e mi guardo intorno alla ricerca del biacco che sta strisciando da qualche parte nella siepe accanto. CIACK! Pesto con il piede destro una cacca fresca depositata da Laika probabilmente appena qualche minuto prima. ACC..! Poi vedo il colpevole in lontananza che sguscia via oltre il muretto che corre lungo il viale: “Laika!”, la fermo, “non si fa! Perché non vai a farla sul prato, come farebbe qualsiasi altro cane!”. Laika abbassa le orecchie, appiattisce la testa e striscia via con aria pentita.

Davanti al fico decido di staccare 4 o 5 frutti da mangiare per colazione. Mentre li sto scegliendo sento un raglio che si sta preparando. Avete presente, no? Comincia con un suono strozzato, come un mantice che aspira aria e si gonfia, pronto a sparare il suono più incredibile che la natura abbia mai prodotto.

Poso la mia tazza sul muretto e mi affretto rapido verso il recinto: “No… No… Buono Carletto… Zitto..”. Carletto aspira aria, “hhiiiii… Hiiiiiii”, e anche Elvis sembra volersi unire al coro. Mi faccio vedere, “Buoni, zitti che arriva la pappa…”, “Hiiiii… Hiiiii… Hiiiiiiiiiii…”. Comincio a camminare lungo il recinto verso il fienile, “Dai, venite, un attimo solo e avrete tutto il fieno che volete”. Loro cominciano a seguirmi dall’altra parte e, tutti presi dall’idea di ricevere il fieno smettono di caricare i potenti ragli.

Da lontano mi vede Zion. Lui la mattina si fa trovare già pronto accanto al fienile. Lancia come sempre un nitrito di saluto. “Ciao Zion!”, rispondo al saluto. Lui di nuovo nitrisce più piano, abbassando i toni. “Bel nanerottolo!”, continuo ad incalzarlo. Lui continua a rispondere, scendendo ancora di tono sino a che il suo nitrito diventa un brontolio appena percettibile e poi, ancora, un semplice fremito di narici che solo io posso vedere e che vuol dire: “sì, sì, sono Zion, sono contento di vederti!”.

Nel frattempo accorrono belando le caprette e alle prime forche di fieno asini, pony e caprette si tuffano tutti con i musi nel mucchio. Rimango compiaciuto ad osservare un poco e ad ascoltare il suono dei denti che triturano erba secca, ramoscelli, fiori e cardi.

Al di qua del recinto degli asini sta oziando Otto, il setter che sta guarendo da un trauma non meglio identificato che gli ha causato un ascesso dalle parti della scapola sinistra. Ora l’enorme bozzo che aveva è esploso permettendo al liquido di uscire fuori insieme all’infezione, ma la ferita è lenta a rimarginarsi. Otto ha sentito gli asini ragliare ed è venuto a salutarmi. Cammina annusando il prato qua e là. Poi si siede, inclina la testa e comincia a grattarsi proprio dove ha la ferita. “Fermo Otto!”, grido verso di lui, “non grattarti proprio sulla ferita!”. Lui si blocca e addrizza le orecchie nella mia direzione, con la zampa posteriore semi sollevata, indecisa sul da farsi. Poi abbassa le orecchie e scodinzola un po’ sul posto, ma non si gratta più.

Torno verso casa. Nei pressi del muretto recupero la mia tazza di latte di riso e i fichi e vado a fare colazione. Quanto sarà passato, 10 minuti? 15? 20 minuti? Ma che cosa è successo in questo lasso di tempo? Ho governato gli animali, ok, ma è anche successo qualcosa di straordinario. Ve ne siete accorti? Ogni giorno succede qualcosa di straordinario per chi apre il cuore agli altri esseri viventi: Noi PARLIAMO CON GLI ANIMALI. Ma certo, noi amanti degli animali siamo in grado di comunicare con loro.

Nell’arco di 10 minuti ho parlato ad un geco (senza aspettarmi che mi capisse); ho rimproverato un pastore tedesco per un misfatto, ottenendo la promessa di non farlo più, almeno nelle prossime ore; ho intimato con successo il silenzio a tre asini; ho sostenuto un vero scambio di saluti con un pony; ho accolto l’entusiasmo vocale di tre caprette tibetane; ho ammonito un setter di non grattarsi sulla ferita aperta… E sono sempre stato ascoltato! E poco importa se loro non abbiano davvero capito il significato letterale dei miei vocaboli, se ascoltino in realtà il tono di voce, se interpretino le sfumature del mio linguaggio para verbale o se magari l’effetto delle mie parole sia in realtà frutto di circostanze indotte da messaggi che trascendono il linguaggio verbale. Ciò che conta è che possiamo, effettivamente, comunicare “a parole” con gli animali!

Non sarà magari che la spontaneità della comunicazione sia la chiave per abbattere qualsiasi barriera tra i diversi linguaggi degli esseri viventi? Quante volte, in fondo, ci sembra che i nostri amici ci stiano parlando? “Gli manca la parola”, si sente spesso dire dal proprietario di un cane piuttosto che un altro animale domestico, nella volontà di dichiarare la propria sintonia con il proprio amico peloso. E così non ci facciamo problemi a parlare ai nostri amici animali con il nostro linguaggio fatto di parole certi che, in un modo o nell’altro, le nostre umane parole verranno ascoltate, comprese.

Siamo matti? Naaaaaaaaaa… Basta non farsi cogliere in flagrante, soprattutto se si sta augurando una buona giornata ad un geco appiattito sul muro!